Viverone, sabato 21 maggio 2022.
Terza tappa del circuito Cross Country della FITRI.
Ore 9:15 imbocco l’A21 in direzione Torino. Sono in anticipo e guido piano. Ho il navigatore acceso, ci saranno un po’ di cambi di autostrade da fare, dopo l’A21, l’A26 e infine il tronco che porta verso la Valle d’Aosta. C’è poca gente per strada, io sono tranquillo. Mi spaventa solo una cosa oggi: il caldo. Guardo le macchine che mi superano e cerco quelle con le MTB a seguito, probabilmente stanno andando verso Viverone. Una di queste la raggiungo e la supero piano, riconosco il CT della Federazione Triathlon per il Cross. Ci sarà anche lui a Viverone oggi. Per sentirlo parlare vi consiglio di ascoltare la puntata di Passione Triathlon, io l’ho ascoltata e trovo che il CT sia davvero una brava persona!
Arrivo al “bar Marinella”, luogo di partenza e arrivo, come nel 2017. Ricordi. La zona cambio è spostata, non più sul prato dopo la scalinata (che capisco subito si farà in discesa anche quest’anno), ma nel parcheggio dove avevo all’epoca messo l’auto. Vado un po’ più avanti, è presto, sono prima delle 11. Vedo già movimento al bar e un grande parcheggio subito dopo la zona cambio. C’è anche una zona in ombra, per cui decido di parcheggiare, anche se non era quello suggerito dall’organizzazione.
Prendo pettorale e gadget (un paio di occhiali simpatici!, finalmente “qualcosa”, ultimamente il concetto di “pacco gara” sembra scomparso…) e mi metto, con molta calma a preparare la bici. Appena finito vado a fare un giretto, incontro subito Gianluca, ci eravamo visti un anno prima alla diga di Mignano, per un cross country sprint. Sapevo della sua presenza, ci eravamo sentiti via Facebook qualche giorno prima. Gianluca mi dice che c’è anche Ilaria e qualche altro compagno di squadra del Propatria, così li raggiungo. Facciamo una foto, qualche battuta, si parla ancora un po’ della bella avventura nell’Isola d’Elba.
Torno in macchina, devo fare la pipì e ormai è passato mezzogiorno e la zona cambio è aperta. Fa veramente caldo. Dopo aver posizionato la bici (tra l’altro mi sono pure dimenticato di fare la consueta foto di rito con tutti gli oggetti posizionati), vado verso il lago. Sento che si sta parlando di muta vietata… Ecco non so perché ma questa notizia mi mette un po’ a disagio. Comincio a pensare alle ultime gare e… no avevo sempre la muta. Probabilmente l’ultima gara con muta vietata risale all’olimpico di Sirmione nel 2017.
Porto la borsa nell’apposito spazio e mi butto in acqua. Effettivamente è calda. Però mentre nuoto un po’ per scaldarmi arrivano delle correnti fredde. Il lago è sporco. Ancora le alghe fastidiose del 2017, ma in più nell’ingresso in acqua c’è proprio sporcizia. Insomma, non proprio come all’Elba!
Ore 13:33. Via. Mi tengo nelle retrovie, come per la precedente gara. Dieci bracciate e il dolore. Al piede destro. Perché? Boh che ne so, sembra un principio di crampo ma non capisco, sono appena partito! Cerco di usare poco le gambe, ma senza muta non è banale. Altre 10 bracciate e come è venuto il dolore passa. Mi metto a nuotare, cerco di rilassarmi perché sono partito decisamente troppo agitato. Mi impongo di non forzare ma mantenendo un buon ritmo. Non sono in mezzo alla solita tonnara e mi chiedo perché… starò sbagliando traiettoria? Alzo la testa, vedo la boa, correggo un po’ verso sinistra ma sono abbastanza in linea. Tra la prima e la seconda boa c’è una bella distanza e le boe usate sono piccole (anche se arancioni). Niente non la vedo. Cerco di non pensarci e nuovo. Sono ancora solo, qualche volta raggiungo o vengo superato da qualche altro atleta. Qualcuno ha la muta (M3 o superiori). Li invidio. Finalmente riesco a vedere la boa, è distante ma mi sembra di essere in linea. Cerco di essere fiducioso sul fatto che sto facendo una buona linea, in fondo un po’ di esperienza ce l’ho. Ma non sono proprio tranquillo. Arrivo alla seconda boa, “ora è fatta”, penso subito. Eh, insomma, mica tanto. L’arco che segna l’uscita dall’acqua lo vedo ma sembra distante. Per fortuna mi sento bene, nessun dolore o fiato corto. Negli ultimi metri spingo di più. Quando esco dall’acqua la prima cosa che faccio è guardare l’orologio. 19 minuti, leggo. Bene penso! Ma poi continuo a guardarlo e leggo 800 e qualcosa metri. Malissimo, penso. Eh sì! Ma perché? non mi sembrava di aver fatto così male.
Entro in zona cambio. Eh sì molti sono già partiti, ho nuotato decisamente male. Sono deluso e ho proprio la sensazione dell’amaro in bocca. Esco dalla zona cambio, salgo in MTB, un po’ arrabbiato con me stesso e attacco la salita che conosco perché è la stessa del 2017. Mi sento bene, so che non devo esagerare perché ho il ricordo sempre vivo dei crampi all’Elba. Dopo pochi minuti raggiungo Gianluca, lo saluto e gli faccio i complimenti per la sessione di nuoto. Mi dice che ha trovato una bella scia. Io gli rispondo “grande” mentre penso che ho nuotato da solo per tutta la frazione. Sono ora sul giro che dovrò ripetere 2 volte. Il percorso è come me lo ricordavo, tratti sterrati abbastanza larghi e tratti in mezzo al bosco in single track. C’è qualche salita ma non troppo complicata. Sto bene, pedalo bene e sono solo. Per questo devo veramente stare concentrato sul percorso, ho paura di sbagliare strada. Dopo una salita che riconosco i 100 metri super tecnici che ricordo bene dal 2017. Una discesa per me impossibile da far seduto in bici. Scendo e proprio in quel punto trovo un altro concorrente che bici a mano si chiede come fare, appunto con la bici a mano. Cerco di superarlo, io so cosa devo fare, buttarmi, al limite butto la bici di lato e metto il culo a terra! Alla fine trovo un varco, lo passo e finiti i primi 30 metri brutti decido pure di salire, fatto il monte Calamita, mica mi spaventerà una piccola discesa così. E in effetti riesco a guidare la bici per i 50 metri rimanenti. La strada ritorna scorrevole, mi sembra di pedalare bene. Inizia un tratto di single track, difficile, molto difficile che non c’era nel percorso 2017. Effettivamente ci vuole tecnica, cerco di non mollare, mi incastro un paio di volte in sassi e radici ma riparto subito. Sono ancora solo. Per fortuna il percorso è in mezzo al bosco e fa piacere rimanere all’ombra. Ad un tratto raggiungo Ilaria, saluto, lei ricambia con “ci vediamo all’arrivo, vai vai”. Secondo giro, ora devo stare attento ai crampi, perché sto pedalando e potrebbero arrivare da un momento all’altro. Mangio nei tratti più scorrevoli e bevo, ho quasi finito la borraccia perché fa veramente caldo. Ancora la discesa tecnica. Stavolta sono solo, scendo e risalgo come nel primo giro. tutto ok. Sono nel tratto single track, chiamato booster, ancora solo. Mi aspetto che di sentir da dietro missili, ovvero i primi che vanno all’arrivo. E infatti arriva niente meno che il campione italiano in carica, Michele Bonacina. Lo sento e mi fermo a lato dandogli strada. Lui ringrazia con forza, grande campione in tutti i sensi. E grande campione anche perché cerco di fare qualche metro con lui. Niente vola. Impossibile stargli dietro. Lo guardo ammirato che si allontana, bravissimo davvero, tanta invidia per le capacità di guida della bici! Discesa, ora è finita penso, ma non è così. Ci sono dei piccoli tratti di falsopiano che mi mettono un po’ in difficoltà E’ caldo e ora non sono più nel bosco. Nonostante questo sorrido: niente crampi!!!! Ultima parte, sto per entrare in zona cambio. Faccio la scalinata seduto in bici, con i freni tirati fin troppo, potevo osare di più.
Scendo dalla bici, mi metto le scarpe. La situazione è simile a prima, cioè ci sono molte bici, ma va bene così. Esco e capisco subito che sarà un calvario. In realtà le gambe ce le ho, sento che sto correndo bene, ma il primi tratto è tutto al sole e pure su asfalto. Vedo i battiti salire, troppo. Il percorsa passa attraverso un campeggio e un ristorante. Gente seduta vestita “da festa”, penso per una comunione o battesimo. I ragazzini che offrono confetti. Sorrido e rispondo: “no grazie altrimenti li vomito tra qualche metro”. Ridono. Io invece mica tanto. Perché è davvero brutto avere le forze ma essere così al limite per la calura. Piccola salita. discesa con un po’ d’ombra, finalmente. Ancora lungolago. No non mi piace la frazione run, ma ora devo pensare al traguardo. Leggo 7km. Da quanto so dovrebbe essere l’ultimo km. Guardo l’orologio. Quasi 180 bpm. Ok limite raggiunto. Ho finito i liquidi anche perché non c’era nessun rifornimento di acqua lungo il percorso, solo all’uscita della zona cambio. tirata d’orecchio agli organizzatori perché potevano predisporre un punto acqua in più vista la giornata. Vedo l’arrivo ma sono già a 8,5 km. Sorrido, vabbé i km di run saranno più di 9. Arrivo.
Prendo ben due bottigliette d’acqua e praticamente mi faccio una doccia per cercare di raffreddarmi. Vado a prendere lo zaino e chiamo: “tutto bene, sono arrivato!”. C’è un area massaggi, e poca gente. Approfitto. Poi prendo la bici, metto tutto in macchina e mi avvio. Sto bene. Mi è piaciuta e mi sono divertito. In autostrada ho pochi pensieri tranne uno: non vedo l’ora di vedere il sorriso del Piccolo.
Alla fine non è andata così male neppure per la classifica che ho guardato solo il giorno dopo. Ottavo di M1 e “lì nel mezzo” come cantava qualcuno negli anni della mia gioventù.
Le foto acquistate e la mia gara su Garmin.





